RICERCHE/ARCHEOMETRIA

SCUOLA MEDIA DI USTICA: DA PROGETTO DIDATTICO A IMPORTANTE RICERCA SCIENTIFICA

Riproponiamo qui di seguito un articolo di Mario Oddo pubblicato su Usticasape

Mosaico fotografico dello studio sulle ossidiane svolto dai ragazzi della scuola media di Ustica

 

I più assidui lettori di Usticasape forse ricorderanno che nel maggio del 2018 abbiamo pubblicato un articolo, riccamente illustrato, in cui rendevamo conto di un progetto didattico-formativo sviluppato nella scuola media “Saveria Profeta” di Ustica da Franco Foresta Martin e dall’insegnante di Scienze Alda Togo, dal titolo suggestivo: “L’Oro Nero della Preistoria”Per chi volesse rileggerlo, ecco il link: https://www.usticasape.it/i-ragazzi-della-media-di-ustica-alle-prese-con-loro-nero/.

 

Ora incontro Franco Foresta Martin al quale chiedo di riassumerci il lavoro svolto dai ragazzi della scuola media e, a distanza di due anni, quali risultati sono scaturiti dalla loro interessante ricerca.

In breve, attraverso lezioni frontali e attività laboratoriali, le ragazze e i ragazzi della terza media sono entrati a contatto con l’affascinante mondo della preistoria usticese, scoprendo che, un tempo remoto, quasi tutti gli indispensabili strumenti da taglio e da caccia erano fatti con l’ossidiana, un vetro vulcanico naturale che oggi si può trovare in superficie sui terreni, ormai ridotto in piccoli frammenti. E poichè i vulcani di Ustica non hanno eruttato ossidiana, quella che si trova da noi assume il ruolo di un importante indicatore di commerci e scambi, in quanto era importata da luoghi in cui esistono giacimenti di questo vetro vulcanico”.

Franco, una delle sessioni che più ha coinvolto e appassionato gli studenti è stata la caccia ai frammenti di ossidiana sparsi nei terreni di Tramontana. Puoi rievocare a quale interessante scoperta ha portato questa attività?   

 “Da Margherita Longo, che, com’è noto, lavora a Tramontana nella sua azienda agricola Hibiscus, sapevamo che ogni volta che viene dissodato il terreno per prepararlo alle colture, emergono alcune minute scaglie di ossidiana, distinguibili dalle altre pietruzze per il loro aspetto nero lucente. Così, grazie all’ospitalità di Margherita, abbiamo organizzato una raccolta da parte degli studenti in un vigneto accanto a Casa dei Francesi. Francamente pensavo che i ragazzi avrebbero trovato una dozzina o poco più di frammenti. Ma grande è stata la mia meraviglia nel constatare che, dopo appena un’ora di ricerca fra le zolle di terreno smosse dall’aratro, i ragazzi hanno raccolto ben 119 frammenti di ossidiana. Si tratta di una concentrazione notevole, rispetto a quella che si riscontra in altri terreni di Ustica, che lascia presupporre l’esistenza di un insediamento preistorico vicino. E dico preistorico perché l’ossidiana nelle epoche successive non è stata più utilizzata grazie alla scoperta e all’uso dei metalli”.

Concluso con successo il progetto didattico, chiedo a Franco di riassumerci di quale studio scientifico è stato oggetto il mucchietto di ossidiane raccolto a Tramontana.

”E’ stata allacciata una collaborazione fra il Laboratorio Museo di Scienze della Terra della Falconiera, di cui sono il direttore, e l’Università di Bari. Le ossidiane sono state analizzate nei laboratori del Dipartimento di Scienze Geoambientali e la loro lontana provenienza, già determinata a scuola dai ragazzi con il microscopio ottico (93 da Lipari e 26 da Pantelleria), è stata confermata in pieno dalle micro-analisi elettroniche. Ma quel che più conta, l’analisi tipologica ha accertato che la stragrande maggioranza dei reperti consiste in scarti di lavorazione e che le tecniche di lavorazione sono attribuibili al Neolitico. Tutti i segni che inducono a pensare a un’attività di scheggiatura dell’ossidiana in loco, forse all’esistenza di un’officina litica. Un risultato interessantissimo, visto che finora le indagini archeologiche nei terreni di Tramontana sopravia avevano portato a descrivere solo frammenti di ceramiche romane e tardo-romane, quindi ben successive all’epoca preistorica”. 

Un intenso, appassionato e coinvolgente lavoro di squadra che ha spalancato prestigiosi spazi internazionali. Franco Foresta Martin, mi hai detto che desideri assegnare in chiusura i giusti onori ai meriti individuali dei ragazzi.

“Ci tengo a citare e ringraziare individualmente tutti coloro che hanno partecipato con entusiasmo a questa avventura scolastica e scientifica: oltre alla brava professoressa Alda Togo, le studentesse e gli studenti: Carlotta Palmisano, Valentina Arnò, Eva Pitruzzella, Sefora Malizia, Clara Palmisano, Diego Zelanda, Bruno di Lorenzo. Ancora, gli altri ricercatori che hanno collaborato allo studio, i professori: Pasquale Acquafredda, Mauro Pallara, Francesca Micheletti e Felice Larocca. Infine a segnalare che il piccolo bottino dei frammenti di ossidiana sarà temporaneamente esposto al Museo della Falconiera, ma a disposizione della Soprintendenza e di altri studiosi, qualora fosse ritenuto utile per ulteriori studi”.

“Insomma  – possiamo concludere – un programma didattico  che è passato dalla scuola ai laboratori scientifici d’avanguardia, diventando ricerca sperimentale e ottenendo anche l’onore della pubblicazione dei risultati in una rivista scientifica internazionale (Open Archaeology, october 2020)”.  Per chi volesse scaricare l’articolo originale in inglese, ecco il link:  https://www.degruyter.com/view/journals/opar/6/1/article-p236.xml

 

Mario Oddo – odmar@libero.it

(Copyright Usticasape, 21 Ottobre 2020)

Testata dell’articolo scientifico di Franco Foresta Martin e co-autori pubblicato sulla rivista internazionale ‘Open Archaeology’.

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QUANDO GLI USTICESI DECISERO D'IMPORTARE LE NUOVE TECNICHE DI MOLITURA DEI CEREALI

di Franco Foresta Martin

 

 

Simulazione di molitura su una macina preistorica di tipo "saddle-quern" al Villaggio dei Faraglioni (Bronzo Medio). A destra, i pilastri d'ingresso dell'azienda Ibiscus, sormontati da elementi di macine rotatorie di epoca ellenistico-romana.
 

Analisi mineralogiche, petrografiche e geochimiche hanno rivelato che durante il periodo Ellenistico-Romano (IV-III sec. a.C.) alcune macine rotatorie oggi presenti nel territorio dell’isola non furono realizzate con rocce vulcaniche locali, ma importate da lontano: infatti, esse risultano costituite da lave dei Monti Iblei, di Pantelleria e delle Isole Eolie (a conclusione di questa nota riassuntiva, trovate il link per scaricare l'articolo originale pubblicato sulla rivista internazionale "Minerals").

 
             Le antiche macine per la molitura dei cereali sono oggetti familiari per gli abitanti e gli assidui frequentatori di Ustica: reperti archeologici ormai integrati nel variegato paesaggio dell’isola, sia rurale sia urbano. Esse fanno bella mostra di sé nei cortili di case private, nelle campagne, incastonate su muretti di cinta e pilastrini; non ultimo, ben custodite e valorizzate nelle aree archeologiche e museali.  
            Usate fin dalla preistoria, le macine sono generalmente pesanti, realizzate con pietre laviche dalla superficie scabra e vescicolata: un materiale abrasivo ideale per ridurre le cariossidi in farina. A ben guardare, le loro forme ci raccontano l’evolversi della tecnologia della molitura (Figura 1: l’evoluzione tecnologica delle macine nel tempo).
   
        
Figura 1. Da Santi et al., 2020
            
                Alcune delle macine più primitive possiamo ammirarle nel Villaggio dei Faraglioni (Bronzo Medio, circa 3400 anni fa), nel contesto in cui operavano. Queste sono costituite da un masso basaltico che funge da elemento statico passivo, con la superficie superiore leggermente concava per effetto dell'abrasione dovuta alla macinazione; e da un piccolo sasso basaltico ovale da tenere in mano e sfregare sul primo, in modo da triturare i cereali. Gli archeologi definiscono questa primitiva tipologia di macine "saddle-quern" (macina a sella), (Figura 2. Tipica macina a sella del Villaggio dei Faraglioni, Ustica).
 
Figura 2. Macina a sella, cortesia di P. Santi.
 
            Tecnologicamente più evolute sono le macine a meccanismo rotatorio che a Ustica compaiono in epoca Ellenistico-Romana, (attorno al IV secolo avanti Cristo), periodo in cui l’isola conobbe un’intensa colonizzazione. A questa categoria appartengono le macine rotatorie manuali (Rotary hand-mill, Figura 3), solitamente di piccole dimensioni, che sembra ebbero la loro remota origine in terra Fenicia, in epoca arcaica, ma che lo scrittore romano Marco Porcio Catone definiva molae ispaniensis, attribuendone la primogenitura alla Spagna. Esse sono formate da due spessi dischi sovrapposti, quello inferiore fisso, quello superiore dotato di un manico di legno per la rotazione manuale.
 
Figura 3. Rotary hand-mill, cortesia di P. Santi.
 
            Di tipologia rotatoria sono pure le macine Morgantina, così chiamate dall’omonimo sito archeologico siculo - greco in provincia di Enna, dove erano prodotte in gran copia. Esse sono formate da un elemento inferiore fisso a forma conica, detto meta; e uno rotatorio superiore a forma di clessidra, il catillus (Figura 4: macina di tipo Morgantina). La rotazione era agevolata da un sistema di assi di legno.
          Esemplari di questi due tipi di macine rotatorie sono abbastanza diffusi a Ustica, ma in genere con i due dischi separati e non più integri.
 
  Figura 4. Macina Morgantina, cortesia di P. Santi.
 
 
            Poiché a Ustica le pietre laviche con caratteristiche strutturali idonee a costruire macine non mancano, anzi abbondano, sino ad ora era ragionevole pensare che tutte quelle esistenti nell’isola fossero state realizzate dagli antichi usticesi, utilizzando lave locali. Perché mai farle venire da lontano, con le immaginabili difficoltà di trasporto, se l’ottima materia prima per realizzarle era disponibile in loco?
            Invece, colpo di scena, ora scopriamo che Ustica importò macine da luoghi distanti della Sicilia, proprio durante il periodo Ellenistico-Romano, quando si verificò il salto tecnologico verso le più efficienti tipologie rotatorie.  
            Questo risultato inatteso è il frutto di una ricerca archeometrica appena pubblicata sulla rivista scientifica internazionale Minerals (26 aprile 2020) da cinque autori (Patrizia Santi, Franco Foresta Martin, Francesca Spatafora, Sandro de Vita e Alberto Renzulli), col titolo: Volcanic Grinding Tools in Ustica Island (Tyrrhenian Sea, Italy): Local Production vs. Import of Morgantina-Type Millstones in the Hellenistic-Roman Period (Macine vulcaniche nell’isola di Ustica, Mar Tirreno, Italia: produzione locale e importazione dei tipi Morgantina nel periodo Ellenistico-Romano).
            L’idea della ricerca è nata nel settembre del 2017, in occasione del Workshop Internazionale “Explosive Eruption and the Mediterranean Civilization through Prehistory and History” (Eruzioni esplosive e Civiltà Mediterranee attraverso la Preistoria e la Storia), organizzato dall’Area Marina Protetta, da LABMUST e dal Centro Studi e Documentazione; un evento, che ha richiamato a Ustica una sessantina di geologi e vulcanologi da varie università e istituti di ricerca. In quella circostanza è arrivato per la prima volta a Ustica il professore dell’Università di Urbino Alberto Renzulli, molto attivo negli studi di Archeometria (la scienza che applica i metodi scientifici analitici per lo studio dei Beni Culturali), noto anche per essere fra i maggiori esperti di antiche macine. Nel corso delle escursioni organizzate da LABMUST, Renzulli ha notato la ricchezza dei reperti sparsi nell’isola e si è ripromesso di tornare per approfondire le ricerche. Impegno puntualmente mantenuto a settembre del 2018, quando è stato allacciato un rapporto di collaborazione organico fra Renzulli, la geologa Patrizia Santi (anche lei dell'Università di Urbino), l’archeologa Francesca Spatafora (nella sua veste di responsabile del Museo Archeologico locale e del Villaggio Archeologico dei Faraglioni), Franco Foresta Martin, (geologo, associato INGV, e direttore di LABMUST) e Sandro de Vita (vulcanologo INGV e studioso della geologia di Ustica).
            Nel corso di tre intensi giorni di ricognizioni e campionamenti, sono stati prelevati piccoli frammenti da 28 macine (alcune integre, altre ormai ridotte a pezzi) custodite nei seguenti siti: Museo Archeologico del Fosso; depositi del Villaggio Archeologico; proprietà private nelle contrade Tramontana, Spalmatore e Piano dei Cardoni.
            Le delicate analisi necessarie per stabilire le caratteristiche mineralogiche e petrografiche dei campioni al microscopio ottico a luce polarizzata sono state effettuate all’Università di Urbino, mentre la determinazione della composizione chimica in elementi maggiori, minori e in traccia è stata commissionata all’estero, presso l'Activation Laboratories Ltd. di Ancaster, Ontario, Canada. E’ seguita una lunga e accurata elaborazione dei risultati, che ha portato a determinare la cosiddetta “impronta geochimica” dei materiali lavici e, di conseguenza, la loro provenienza.
            Come c’era da aspettarsi, la maggior parte delle macine analizzate, 20 su 28, sono state realizzate con pietra lavica di Ustica: basalti, hawaiiti e mugeariti ad affinità alcalino-sodica. Ma ben otto macine sono costituite da lave provenienti da altri apparati vulcanici: sei dai Monti Iblei (basalti tholeitici), una da Pantelleria (basalto alcalino ad elevato tenore in Titanio) e una dalle Eolie (andesite basaltica della serie calco-alcalina).
            Poiché tutte le otto macine realizzate con pietra vulcanica estranea al contesto usticese sono del tipo rotatorio, cioè di tipologie più evolute e cronologicamente successive rispetto alle macine statiche preistoriche, si può formulare l’ipotesi che la loro importazione sia stata dettata proprio dall’esigenza di compiere un salto di qualità nella tecnica della molitura. Una verosimile ricostruzione dei fatti suggerisce che, durante la preistoria usticese, le semplici e rozze macine di tipo statico (saddle-quern) fossero realizzate con la pietra lavica locale. Infatti le uniche due macine preistoriche analizzate recano l'inconfondibile impronta dei basalti usticesi. Poi, durante il periodo Ellenistico-Romano, quando Ustica conobbe una nuova ondata colonizzatrice, certamente s’impose l’esigenza di un miglioramento delle tecniche di molitura, con l'importazione delle nuove macine rotatorie. Queste, probabilmente, servirono da modello per la realizzazione in loco di analoghe tipologie. Infatti, fra le macine rotatorie analizzate se ne trovano anche di comprovata lava usticese.
            Quanto alla collocazione nel territorio delle otto macine d’importazione, che sono senz’altro da additare all’attenzione di studiosi e turisti per il loro valore di documentazione storica, esse sono così distribuite: due al Museo della Civiltà Contadina e Marinara presso l’Azienda Hibiscus (una proveniente dagli Iblei e una dalle Eolie); quattro a Piano dei Cardoni, lungo i muretti di cinta fra le proprietà Verdichizzi e Foresta Martin (tutte dagli Iblei); una nel cortile del Museo Archeologico del Fosso (Iblei); una nel deposito del Villaggio Archeologico dei Faraglioni (da Pantelleria), (Tabella 1).
 
Tabella 1. Le macine importate a Ustica e la loro collocazione topografica.
 
            Gli autori dello studio, nelle conclusioni del loro articolo pubblicato su Minerals, avanzano anche l’ipotesi che la provenienza dei manufatti dall’area Iblea possa costituire l’indizio di contatti con la colonia greca di Mégara Hyblaea, che in epoca Ellenistico-Romana fu attivissima nella produzione di macine, oltre che centro di scambi commerciali e culturali con altri insediamenti della Sicilia.
            Una riflessione finale è d’obbligo. Se si fosse seguito il solo buonsenso, difficilmente si sarebbe intrapresa una ricerca su reperti che, all’apparenza, sembravano realizzati tutti con la ubiquitaria ed ottima pietra lavica locale.  Viceversa, la curiosità e la sfida a ciò che appare ovvio sono stati alla base di queste nuove acquisizioni, che aggiungono un piccolo ma significativo tassello alla storia della nostra isola.
Franco Foresta Martin
 

RINGRAZIAMENTI

Per il supporto logistico alla ricerca e il permesso di raccolta dei reperti, gli autori ringraziano: Museo Archeologico “Seminara” di Ustica; LABMUST; Centro Studi e  Documentazione Isola di Ustica, Museo della Civiltà Contadina e Marinara presso Agriturismo Ibiscus; Villaggio Turistico di Spalmatore. E in particolare i Signori: Nicola Longo, Margherita Longo, Vito La Barbera; Vito Ailara; Giovanni Palmisano “il Talebano”; Salvatore e Rosetta Verdichizzi; Anna Russolillo.
 

PER APPROFONDIRE

Renzulli, A., Santi, P., Gambin, T. & Bueno Serrano, P. (2019). Pantelleria Island as a centre of production for the Archaic Phoenician trade in basaltic millstones: New evidence recovered and sampled from a shipwreck off Gozo (Malta) and a terrestrial site at Cádiz (Spain). J. Archaeol. Sci. Rep. 24, 338–349.

Santi, P., Renzulli, A. & Gullo, R. (2013). Archaeometric study of the hopper-rubber and rotary Morgantina-type volcanic millstones of the Greek and Roman periods found in the Aeolian Archipelago (southern Italy). Eur. J. Mineral. 25, 39–52, doi:10.1127/0935-1221/2013/0025-2250P.

Santi, P., Renzulli, A.& Bell, M.(2015). III. The volcanic millstones from the archaeological site of Morgantina (Sicily): Provenance and evolution of the milling techniques in the Mediterranean area. Archaeometry57, 803–821, doi:10.1111/arcm12139.

Santi, P., Foresta Martin, F., Spatafora, F., De Vita, S.,  & Renzulli, A. (2020). Volcanic Grinding Tools in Ustica Island (Tyrrhenian Sea, Italy): Local Production vs. Import of Morgantina-Type Millstones in the Hellenistic-Roman Period. Minerals, 10, 389; doi:10.3390/min10050389.

Williams-Thorpe, O., Thorpe, R.S. (1991). Millstones that mapped the Mediterranean. New Sci., 129, 42–45. 

Williams-Thorpe, O., Thorpe, R.S. (1993). Geochemistry and trade of eastern Mediterranean millstones from the Neolithic to Roman periods. J. Archaeol. Sci., 20, 263–320.

 

ABSTRACT DELL'ARTICOLO PUBBLICATO SULLA RIVISTA SCIENTIFICA "MINERALS"

 

 

LINK PER SCARICARE GRATUITAMENTE L'ARTICOLO DAL SITO DI "MINERALS"

 
 
[Ultimo aggiornamento: 05.05.2020]

VIRTUAL TOUR

A virtual tour in the Laboratory-Museum of Earth Sciences of Ustica, to discover the story of the birth and evolution of an underwater volcano that has become an island. 

Click on the pic and watch the video !

 

 

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LO STAFF DEL LABORATORIO MUSEO

Il Comitato di Gestione del Laboratorio Museo di Scienze della Terra Isola di Ustica, secondo quanto stabilito dal Protocollo d'Intesa fra il Comune di Ustica e l'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) è composto da quattro membri: un delegato del Comune, uno dell'INGV, uno dell'Istituto Comprensivo di Ustica e uno del Centro Studi e Documentazione Isola di Ustica. Il Comitato di Gestione nomina il Direttore del Laboratorio Museo. 

Gli incarichi sono a titolo gratuito e non prevedono alcun tipo di compenso. 

Attualmente gli incarichi sono così definiti:

 

Dottor Franco Foresta Martin, Direttore e delegato del Centro Studi

 

Dottor Piero Pomilia, delegato del Comune di Ustica

 

Dottor Giorgio Capasso, delegato dell'INGV 

 

Don Lorenzo Tripoli, delegato dell'Istituto Scolastico di Ustica